Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/327

Da Wikisource.

e infiammate; in tutto il volto una espressione di così intensa gioia che la trasfigurava. No, non era un sogno! La giornata che finiva valeva per lei una vita. Nella stanza del piano Ermelinda Barrai l'aveva pregata di cantare, e accompagnata da lei, ella aveva accondisceso. Colla sua voce un po' tremula negli acuti ma dolcissima nelle medie e nelle basse, aveva cantato una vecchia romanza che le ricordava altri tempi, e tutti l'avevano applaudita, e avevano consigliato Don Antonio a riprenderle il pianoforte.

E Micheluccio, stringendole la mano, guardandola lungamente, — Ella canta come un angelo! — le aveva detto, e quella stretta ardente, appassionata, ella la sentiva ancora; la sua mano ne bruciava, e ne fremeva tutto il suo essere.

La porta si spalancò ad un tratto senza rumore, ed apparve Dorotea, livida nel vestito di merinos grigio, col cappello a sghimbescio, e il respiro affannoso.

— Ah! tu rubi dunque? — diss'ella con voce sibilante e rotta, puntando l'indice minacioso verso la cravatta celeste. — Tu rubi? Tu sei ladra? Non ti basta averci coperti di vergogna colle tue pazzie? Non ti basta che tutti ridano di noi per colpa tua? Non sei contenta di aver fatto morire nostra madre di crepacuore?

— Non è vero! — urlò Adelaide, sobbalzando come se fosse stata morsa da una vipera. — Questo, non è vero!