Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/42

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polso e salendo su verso il braccio. Ella si fece di bragia e timidamente si svincolò.

Sotto al pergolato sedettero intorno ad una tavola di marmo inverdita e annerita dalle piogge e dalla borraccina, e il conte Ademaro incominciò una interminabile storia «di famiglia».

Tutti cadevano dal sonno, accasciati di noia e di cibo, ma si tenevano in dignitosi atteggiamenti sui duri sedili di marmo, ed ogni tanto, a proposito o a sproposito, facevano col capo cenni d'approvazione.

— Sì, tutti i primogeniti della famiglia Novelli-Casazzi erano cavalieri dell'Ord....

In mezzo a quel monotono stillicidio di parole un lungo sbadiglio s'intese, ma lungo, largo, plebeo, di quelli che servono di biglietto di presentazione.

Il conte Ademaro si arrestò di botto. Tutti allibirono.

Un attimo. Agli occhi socchiusi della suocera, all'occhialetto brandito come un'arma dalla baronessa Grola, gli occhi di Rosa risposero sereni, incoscienti.

Il conte Ademaro riprese, guardando i carpini:

— Erano cavalieri dell'Ordine di San Michele Arcangelo....

— Cara, — disse la suocera, — vorresti prendere i biscottini e offrirli al conte Fiano?

Rosa si alzò, inciampando un po' nello strascico, e si diresse verso il vassoio che il cameriere aveva posato sull'orlo della fontana. E