Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/45

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L'entusiasmo e la contentezza del conte Ademaro erano tali che arrivava perfino a fantasticare sulla possibilità di nobilitare la nuora.

— Un po' per volta Eufrasia si farà una vera signora! — aveva confidato al dottor Fabrizi. — E chissà che non riesciamo a mettere anche lei «nell'albero»! ....Sst! Silenzio con tutti!... Ci sarebbe a Napoli un nobile decaduto disposto ad adottarla (naturalmente gli ho fatto parlare da terzi colla dovuta circospezione), ma ci vuole l'assenso dei genitori veri, e quel testardo del vecchio Bombarda, cui ho fatto avanzare mezza parola da don Evaristo, non ne vuole sapere.... Basta! intanto speriamo che la cosa più importante vada bene.... Che ne dite, dottore?

— Speriamo, speriamo.

Ma la salute di Rosa gli dava veramente un po' di pensiero.

Ella era pallidissima, cogli occhi segnati da profonde occhiaie, pativa d'un'insonnia feroce, mangiava poco e svogliatamente, e spesso era colta da deliqui che duravano a lungo.

Uno specialista venuto da Torino aveva prescritto l'assoluto riposo e una dieta leggera, quasi liquida.

Rosa era dunque relegata nella sua camera e si moveva languidamente dal letto al divano, avvolta in un'ampia veste sciolta, colla treccia bruna sulle spalle. E quella camera era divenuta il quartier generale della famiglia.

Il conte Ademaro vi passava quasi l'intera giornata, tranne la solita ora dedicata al dottor