Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/46

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Fabrizi, al tresette e al vin bianco; Giovanna andava e veniva quanto più spesso poteva, trattenendosi ogni volta, quando altri non c'era, a dare un nuovo consiglio, a fare una nuova raccomandazione.

— Se lo allatti lei, sa, contessina! Non si lasci montar la testa dalla moda e dal contino Folco. Il marito è il marito, ma la propria creatura passa innanzi a tutti!

E un'altra volta:

— Non lasci che gli mettano nome Ademaro! Ce ne son sette con quel nome sepolti nella cappella.... Porta disgrazia!

E ancora:

-Speriamo che somigli a lei, e che sia bello come lei.

La contessa Clemenza aveva trasportato la sua cesta da lavoro, le sue sete e i suoi merletti, nella stanza della nuora, e ci veniva ogni mattina, sedeva presso alla finestra, toccando quasi col naso la finissima tela, tirando l'ago lentamente ma indefessamente colle sue mani inguantate e miracolose.

Cuffiette rosee e cilestrine, morbide, tutte merletti; camicine trasparenti inghirlandate allo scollo da un leggero ricamo a passata, coperte soffici, di raso azzurro e di raso bianco, su cui il grande stemma verde e rosso dei Novelli-Casazza metteva una nota violenta, coi due grifi rampanti....

Rosa ammirava e taceva.

Ora, sì, ora, ella sentiva la sua fortuna. Che la sua creatura avesse quelle cose belle, che