Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/48

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interi raccontando poi che era stato qua e là nelle ville vicine al tennis o allo skating.

E quando tornava, Rosa gli sorrideva, e non una parola di rimpianto nè una domanda curiosa uscivano dalle sue labbra.

Qualche volta ella sorrideva anche quando era sola, sorrideva a quello che era in lei, a quello che la faceva soffrire, che la faceva trasalire dei suoi sussulti, al piccolo cuore che pulsava del suo cuore: con così intensa felicità, così disperata speranza quale non tutte le madri conoscono.

Che cos'era lei senza quel bimbo? e quel bimbo che cos'era per lei?

Ella non era, non poteva essere, che mamma; e lo era tanto: ferocemente, appassionatamente, prima ancora ch'«egli» nascesse!

Un'alba finalmente «egli» arrivò.

Vagì, agitò i pugni chiusi, contrasse il piccolo viso rosso e rugoso.

Una donna dai capelli grigi e dall'aspetto tranquillo lo prese delicatamente e lo immerse nel bagno tiepido. Era un maschio.

La contessa Clemenza porse i lini, la cuffietta; Giovanna rimboccò la coperta stemmata della piccola culla; il conte Ademaro lo guardò con muta estasi.

Di là intanto la madre stava fra la vita e la morte.