Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/50

Da Wikisource.

Per tutta risposta dal grosso batuffolo di flanella e trine uscirono acuti vagiti.

— Ho capito, ho capito! — disse Rosa; e si slacciò il corpetto, gli porse il seno.

Avidamente le labbra della creaturina cercarono sulla dolce carne materna il capezzolo morbido e lo afferrarono.

Nell'avidità di suggere il latte gorgogliava, passando, con un piccolo rumore; le manine si agitavano confuse.

A poco a poco il poppare si fece meno intenso, gli occhietti si velarono di stanchezza, e infine, il grosso batuffolo di flanella e trine, ben sazio e pago, senza lasciare il capezzolo si addormentò.

La donna vestita di rosso si avvicinò cautamente al letto e attese che la madre glielo rendesse. Ma Rosa era assorta, in una immobilità di statua, coi raggianti occhi sul figlio.

Entrò la contessa Clemenza, sorridente, seguìta da Giovanna che recava una tazza di brodo e una tazza di caffè; entrò il conte Ademaro in punta di piedi, facendo scricchiolare il pavimento.

Rosa alzò gli occhi e li vide tutti intorno al suo letto nell'attitudine dell'attesa e dell' adorazione.

— Lasciatemelo questa notte! — supplicò. — Vedete, dorme. È tanto buono. Non mi darà nessuna noia. Lo metterò accanto a me sul letto grande. Se vi sarà bisogno, chiamerò Teresa. Lasciatemelo!

— E se torna Folco? — chiese la suocera.