Pagina:Dumas - Il tulipano nero, 1851.djvu/124

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— Datemi la vostra bella mano, e promettetemi di non ridere, mia fanciulla.

— Ridere! esclamò Rosa con dispiacenza, ridere in questo momento? Ma non mi avete dunque guardato, signor Cornelio?

— lo vi ho guardato, o Rosa, e con gli occhi del corpo e con gli occhi dell’anima. Giammai mi si è offerta dinanzi donna più bella e anima più pura; e se fin d’ora non vi guardo più, perdonatemi, perchè pronto a lasciare la vita, amo meglio di non aver nulla a rimpiangervi.

Rosa trasalì. Mentre il prigioniero proferiva queste parole, battevano le undici alla torre del Buitenhof. Cornelio la comprese.

— Sì, sì, spicciamoci, diss’egli; avete ragione, o Rosa.

Allora cavando dal petto, dove aveala nascosta dappoichè non aveva più paura di essere frugato, la carta che involtava i tre talli:

— Anima mia bella, soggiunse, ho molto amato i fiori in tempi, in cui io ignorava che si può amare qualche altra cosa. Oh! non arrossite, non vi volgete altrove, o Rosa, non sono per farvi una dichiarazione di amore. Ciò, povera giovine, non avrebbe scopo; che avvi laggiù sul Buitenhof un certo ordingo che tra sessanta minuti farà ragione della mia temerità. Amo dunque i fiori, o Rosa, e avevo trovato, lo credo almeno, il segreto del gran tulipano nero, che si crede impossibile e che è, lo sappiate o non lo sappiate, l’oggetto di un premio di centomila fiorini proposto dalla società orticola di Harlem. Questi centomila fiorini — e Dio sa che io non mi