Pagina:Dumas - Il tulipano nero, 1851.djvu/268

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«Infine non evvi una circostanza che mi paralizza? L’assenza di Rosa. Quand’anco impiegassi dieci anni della mia vita a fabbricarmi una lima per segare le mie sbarre, a intrecciare le mie corde per discendere dalla finestra, o ad attaccarmi delle ali alle spalle per involarmi come Dedalo... Ma sono in un pessimo bivio! La lima potrebbesi consumare, le corde rompere, le mie ali struggersi al sole: mi ammazzerei malamente. E al più mi rialzerei zoppo, monco, sfilato; e sarei classato nel museo dell’Aya tra la porpora tinta di sangue di Guglielmo il Taciturno e la femmina marina raccolta a Stavoren, non avendo la mia intrapresa avuto per resultato che di procurarmi l’onore di far parte delle curiosità dell’Olanda.

«Ma no; un bel giorno, ed è assai meglio, Grifo farammi qualche angheria. Perdo la pazienza dopo aver perduto la gioia e la società di Rosa, e soprattutto dopo aver perduto il mio tulipano. Non cade dubbio che un giorno o l’altro Grifo non mi attacchi d’una maniera sensibile al mio amor proprio, al mio amore o alla mia sicurezza personale. Dalla mia reclusione in poi mi sento una forza strana, stizzosa, insopportabile; ho un pizzicore d’accapigliarmi, un appetito di adoprare le mani, una sete di pugni; salterei insomma con tutta la buona volontà del mondo alla gola del mio vecchio aguzzino, e lo strangolerei!»

Cornelio a quest’ultimo proponimento arrestossi un istante con la bocca contratta e l’occhio fisso. Un idea, che sorridevagli, affacciavasi alla sua mente.

— E già! continuò Cornelio, una volta Grifo strangolato, perchè non prendergli le chiavi? Perchè