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Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/243

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corse che si facevano a Villa Ada, passata dalla casa Reale in proprietà del conte Telfner e a quelle che si facevano alla tenuta di Redicoli, fuori di Porta Pia, all’ottavo miglio.

Le corse a Villa Ada erano elegantissime; i premi venivano assegnati dalla contessa Telfner, sposa da poco, e dalla signora e signorina Mackay, le due ricchissime americane. Vi conveniva un pubblico ristretto, ma sceltissimo. Le scuderie che correvano specialmente erano quelle di Telfner e del conte Larderel. Alle corse di Redicoli, dette di Belladonna, vi andava la Corte. La Regina conduceva nella sua carrozza di mezza gala il Principe di Napoli, che in quell’inverno menava pure all’Apollo a sentire il Barbiere di Siviglia, e altre opere. Il principino era sempre vestito da caporale dei torpedinieri e quel costume gli stava molto bene. Non era più il piccino dilicato che i romani avevano veduto per la prima volta nel 1871. Erasi fatto più forte, e sul viso giovanile gli si leggeva una espressione di fierezza e di intelligenza che lo rendeva simpatico.

Il Re usciva dal Quirinale in carrozza e a Ponte Nomentano saliva a cavallo. S. M. prendeva interesse a quelle corse, e dava un premio di 4000 lire per i cavalli di età non superiore ai 4 anni, nati e allevati nella provincia romana. Quelle corse non possono esser paragonate a quelle che si fanno ora alle Capannelle in primavera, ma per i romani avevano un’attrattiva forse maggiore, e una folla immensa assisteva al ritorno delle carrozze da ponte Nomentano fino al Quirinale. I tiri a quattro cavalli erano belli e molti; due del duca di Ceri, uno del principe di Teano, due di casa Doria, uno di don Giannetto e uno di don Alfonso, uno del principe Leuchtemberg, figlio della granduchessa Maria di Russia, preceduto da battistrada, uno di don Bosio di Santa Fiora poi quelli del signor Hüffer, del conte Telfner, del conte di Coello, di don Camillo Borghese, del principe Massimo, dell’elegante principe di Belmonte, di don Leopoldo Torlonia, del signor Venturi, e dei fratelli Giorgi.

Anche per queste gare ippiche di Belladonna i premi ai vincitori della corsa del Gentlemen-riders erano conferiti dalle signore, e i signori che si disputavano quei premi erano il barone Franchetti, il conte Tiberi, il marchese di Roccagiovane, il signor Minghetti, il conte Senni e il signor Plowden, i quali sono quasi tutti anche adesso i re del turf.

La Camera si riaprì il 14 gennaio e subito piombarono le interrogazioni e le interpellanze, e si stabilì di discuterle durante i bilanci. In quella prima seduta fu presentato dal presidente del consiglio il trattato di commercio con l’Austria-Ungheria, che fu subito mandato alla commissione espressamente nominata, e il Coppino presentò quello per la costruzione del palazzo di Belle Arti. Vincitore del concorso era stato l’ingegnere Pio Piacentini romano e quella costruzione era un bisogno per la città. Il Coppino non ne chiese l’urgenza e non era presente neppur un deputato romano per chiedere che il progetto fosse mandato all’esame negli uffici.

Ho citato quest’esempio per dimostrare l’apatia, dalla quale tutti erano sopraffatti. La Camera era quasi sempre vuota e i deputati, invece di riunirsi nell’aula, si vedevano fuori del Parlamento per discutere, per brigare contro il Ministero, o fare accordi per sostenerlo; ma soprattutto per rovesciarlo. Ai partiti nettamente delineati, si erano sostituiti i gruppi e gruppetti, e ogni uomo di Sinistra niente niente influente, aveva il proprio. Quello Cairoli era il più potente di tutti, e nelle sue mani stavano le sorti del Ministero. Per questo il Depretis non poteva governare senza l’appoggio di una maggioranza. I compromessi con i diversi gruppi si facevano per ottenere il voto su una data quistione, e gli alleati di ieri erano spesso avversari oggi. La nessuna forza del Governo, la sua nessuna stabilità, le frequenti crisi e la salita al potere di uomini atti a portar voti per il progetto di legge più urgente, e dai quali dopo bisognava staccarsi, ecco le conseguenze più evidenti della mancanza di partiti. La stampa di Roma, ligia agli uomini di sinistra, era una prova