Pagina:Eneide (Caro).djvu/131

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90 l’eneide. [970-994]

970Cotal la vidi, e tale anco per mano
Mi prese; e con pietà le sante luci
E le labbia rosate aperse, e disse:
Figlio, a che tanto affanno? a che tant’ira?
Chè non t’acqueti omai? Questa è la cura
975Che tu prendi di noi? Chè non più tosto
Rimiri ov’abbandoni il vecchio Anchise
E la cara Creusa e ’l caro Iulo,
Cui sono i Greci intorno? E se non fosse
Che in guardia io gli aggio, in preda al ferro, al foco
980Fòran già tutti. Ah figlio! non il volto
De l’odïata Argiva, non di Pari
La biasmata rapina, ma del cielo
E de’ celesti il voler empio atterra
La troiana potenza. Alza su gli occhi,
985Ch’io ne trarrò l’umida nube, e ’l velo
Che la vista mortal t’appanna e grava:
Poscia credi a tua madre, e senza indugio
Tutto fa’ che da lei ti si comanda:
Vedi là quella mole, ove quei sassi
990Son da’ sassi disgiunti, e dove il fumo
Con la polve ondeggiando al ciel si volve,
Come fiero Nettuno infin da l’imo
Le mura e i fondamenti e ’l terren tutto
Col gran tridente suo sveglie e conquassa.


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