Pagina:Eneide (Caro).djvu/137

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96 l’eneide. [1120-1144]

1120Le man, gli occhi e la voce al ciel rivolto,
Orò dicendo: Eterno, onnipotente
Signor, s’umana prece unqua ti mosse,
Vèr noi rimira, e ne fia questo assai.
Ma se di merto alcuno in tuo cospetto
1125È la nostra pietà, padre benigno,
Danne anco aita; e con felice segno
Questo annunzio ratifica e conferma.
     Avea di ciò pregato il vecchio appena
Che tonò da sinistra e dal convesso
1130Del ciel cadde una stella che per mezzo
Fendè l’ombrosa notte, e lunga striscia
Di face e di splendor dietro si trasse.
Noi la vedemmo chiaramente sopra
Da’ nostri tetti ire a celarsi in Ida,
1135Sì che lasciò, quanto il suo corso tenne,
Di chiara luce un solco; e lunge intorno
Fumò la terra di sulfureo odore.
     Allor vinto si diede il padre mio;
E tosto a l’aura uscendo, al santo segno
1140De la stella inchinossi, e con gli Dei
Parlò devotamente: O de la patria
Sacri numi Penati, a voi mi rendo.
Voi questa casa, voi questo nipote
Mi conservate. Questo augurio è vostro,


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