Pagina:Eneide (Caro).djvu/138

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[1145-1169] libro ii. 97

1145E nel poter di voi Troia rimansi.
Poscia, rivolto a noi. Fa’, figliuol mio,
Omai, disse, di me che più t’aggrada,
Ch’al tuo voler son pronto, e d’uscir teco
Più non recuso. Avea già ’l foco appresa
1150La città tutta, e già le fiamme e i vampi
Ne ferian da vicino, allor che ’l vecchio
Così dicea. Caro mio padre, adunque,
Soggiuns’io, com’è d’uopo, in su le spalle
A me ti reca, e mi t’adatta al collo
1155Acconciamènte: ch’io robusto e forte
Sono a tal peso: e sia poscia che vuole:
Ch’un sol periglio, una salute sola
Fia d’ambedue. Seguami Iulo al pari;
Creusa dopo: e voi miei servi, udite
1160Quel ch’io diviso. È de la porta fuori
Un colle, ov’ha di Cerere un antico
E deserto delubro, a cui vicino
Sorge un cipresso, già molt’anni e molti
In onor de la Dea serbato e colto.
1165Qui per diverse vie tutti in un loco
Vi ridurrete: e tu con le tue mani
Sosterrai, padre mio, de’ santi arredi
E de’ patrii Penati il sacro incarco,
Ch’a me, sì lordo, e sì recente uscito

Caro. — 7. [703-718]