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Pagina:Eneide (Caro).djvu/435

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394 l’eneide. [1095-1119]

1095Col suo squarciato ammanto, con la sferza
Di sangue tinta la crudel Bellona
Sgominavan le genti; e l’azzio Apollo
Saettava di sopra: agli cui strali
L’Egitto e gl’Indi e gli Arabi e i Sibei
1100Davan le spalle. E già chiamare i venti,
Scioglier le funi, inalberar le vele
Si vedea la regina a fuggir volta.
Già del pallor de la futura morte,
Ond’era dal gran fabro il volto aspersa,
1105In abbandono a l’onde, e de la Puglia
Ne giva al vento. Avea d’incontro il Nilo
Un vasto corpo, che, smarrito e mesto,
A’ vinti aperto il seno e steso il manto,
I latebrosi suoi ridotti offriva.
     1110Cesare v’era alfin che trïonfando
Tre volte in Roma entrava; e per trecento
Gran templi a’ nostri dii voti immortali
Si vedean consecrati. Eran le strade
Piene tutte di plauso, di letizia,
1115E di feste e di giuochi. Ad ogni tempio
Concorso di matrone: ad ogni altare
Vittime, incensi e fiori. Egli di Febo
Anzi al delubro in maestade assiso
Riconoscea de’ popoli i tributi,


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