Pagina:Eneide (Caro).djvu/458

Da Wikisource.
[520-544] libro ix. 417

520E ’l giovine Serrano. Un bel garzone
Era costui gran giocatore, e ’n gioco
Insino allora avea sempre vegliato.
Felice lui per lo suo vizio stesso
Se giocato e perduto ancora avesse
525Tutta la notte! Era a veder tra loro
Il fiero Niso, qual da fame spinto
Non pasciuto leone, un pieno ovile
Imbelle e per timor già muto assaglie,
Che d’unghie armato, e sanguinoso il dente
     530Traendo e divorando ancide e rugge.
Nè fe’ strage minor dall’altro canto
Eurïalo, ch’acceso e furïoso
Tra molta plebe molti senza nome
E quasi senza vita a morte trasse;
535Sì dal sonno eran vinti; e de’ nomati
Occise Ebèso, Fabo, Àbari e Reto.
Questo Reto era desto: onde veggendo
Con la morte degli altri il suo periglio,
Per la paura appo d’un’urna ascoso
540Quatto e queto si stava. Indi sorgendo
Gli fu ’l giovine sopra, e ’l ferro tutto
Entro al petto gl’immerse, e con gran parte
De la sua vita indietro lo ritrasse;
Sì che tra ’l vino e ’l sangue ond’era involta,

Caro. — 27. [335-349]