Pagina:Eneide (Caro).djvu/462

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[620-644] libro ix. 421

620Che farà? Con che forze, e con qual’armi
Fia che lo scampi? Avventerassi in mezzo
De’ nimici a morir morte onorata?
Così risolve, e prestamente un dardo
S’adatta in mano; e vòlto in vèr la Luna,
625Ch’allora alto splendea, così la prega:
     Tu, Dea, tu de la notte eterno lume,
Tu, regina de’ boschi, in tanto rischio
Ne porgi aita. E s’Ìrtaco mio padre
Per me de le sue cacce, io de le mie
630Il dritto unqua t’offrimmo; e se t’appesi,
E se t’affissi mai teschio nè spoglia
Di fera belva, or mi concedi ch’io
Questa gente scompigli, e la mia mano
Reggi e i miei colpi. E ciò dicendo, il dardo
635Vibrò di tutta forza. Egli volando
Fendè la notte, e giunse ove a rincontro
Era Sulmone, e l’investì nel tergo
Là ’ve pendea la targa; e ’l ferro e l’asta
Passògli al petto, e gli trafisse il core.
640Cadde freddo il meschino; e con un caldo
Fiume di sangue, che gli uscío davanti,
Finì la vita e col singhiozzo il fiato.
     Guardansi l’uno a l’altro; e tutti insieme
Miran d’intorno di stupor confusi


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