Pagina:Eneide (Caro).djvu/483

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442 l’eneide. [1145-1169]

1145Fieramente sonaro. Il suo cimiero
Ne l’aura ondeggiò sangue, e dal suo scudo
Uscîr folgori e lampi. Incontinente
La sua faccia odïata e ’l suo gran fusto
Raffigurando, i Teucri si turbaro.
1150Pándaro allor de la fraterna morte
Fervidamente irato, avanti a tutti
Gli si fe ’ncontro e disse: E’ non è, Turno,
Questa la reggia che t’assegna in dote
La tua regina; e non hai d’Ardea intorno
1155Le patrie mura. Ne le forze entrato
Sei de’ nemici onde scampar non puoi.
Or via, Turno ghignando gli rispose
Placidamente, via, se tanto ardisci,
Meco ti prova; chè ben tostamente
1160A Prïamo dirai ch’in questa Troia,
Come ancor ne la sua, trovossi Achille.
Ciò detto, gli avventò Pándaro un dardo
Di tutta forza nodoroso e grave,
E di ruvida ancor corteccia involto.
1165L’aura lo prese, e la Saturnia Giuno
Deviò ’l colpo sì che da la mira
Si torse e ne la porta si confisse.
     Non sì cadrà questa mia spada in fallo,
Disse allor Turno; tale è chi la vibra,


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