Pagina:Eneide (Caro).djvu/501

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460 l’eneide. [295-319]

295Stava la morte sua, mentre ch’a l’ombra
De le pioppe, che pria gli eran sorelle,
Sfogava con la musa il suo dolore:
Fatto cantando già canuto e vèglio,
In augel si converse, e con la voce
300E con l’ali da terra al cielo alzossi.
Il suo figlio co’ suoi portava un legno
A cui sotto la prora e sopra l’onde
Stava un centauro minaccioso e torvo,
Che con le braccia e con un sasso in alto
305Sembrava di ferirle, e via correndo
Col petto le facea spumose e bianche.
Ocno poscia venía, del tosco fiume
E di Manto indovina il chiaro figlio,
Che te, mia patria, eresse e che del nome
310De la gran madre sua Mantua ti disse:
Mantua d’alto legnaggio illustre e ricca,
E non d’un sangue. Tre le genti sono,
E de le tre ciascuna a quattro impera,
Di cui tutte ella è capo, e tutte insieme
315Son con le forze de l’Etruria unite.
     Quinci ne fur contra Mezenzio armati
Cinquecento altri; e Mincio, un figlio altero
Del gran Benáco, fu che gli condusse,
Di verdi canne inghirlandato il fronte.


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