Pagina:Eneide (Caro).djvu/51

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10 l’eneide. [208-232]

Vide i legni d’Enea; vide lo strazio
De’ suoi, ch’a la tempesta, a la ruina
210E del mare e del cielo erano esposti.
E ben conobbe in ciò, come suo frate,
Che ne fòra cagion l’ira e la froda
De l’empia Giuno. Euro a sè chiama e Zefiro,
E ’n tal guisa acremente li rampogna:
     215Tanta ancor tracotanza in voi s’alletta,
Razza perversa? Voi, voi, senza me.
Nel regno mio la terra e ’l ciel confondere
E far nel mare un sì gran moto osate?
Io vi farò...... Ma, di mestiero è prima,
220Abbonazzar quest’onde. Altra fïata
In altra guisa il fio mi pagherete
Del fallir vostro. Via tosto di qua,
Spirti malvagi; e da mia parte dite
Al vostro re, che questo regno e questo
225Tridente è mio e che a me solo è dato.
Per lui sono i suoi sassi e le sue grotte,
Case degne di voi; quella è sua reggia;
Quivi solo si vanti; e per regnare,
De la prigion de’ suoi venti non esca.
     230Così dicendo, in quanto a pena il disse,
La tempesta cessò, s’acquetò ’l mare,
Si dileguâr le nubi, apparve il sole.


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