Pagina:Eneide (Caro).djvu/569

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528 l’eneide. [545-569]

545Era noto a le genti. Or questo infesto
A la gloria di Turno, asperso il core
D’amarezza e d’invidia, in questa guisa
Il suo fatto aggravando, e l’ire altrui
Irritando, parlò: Chiaro, evidente
550E necessario, ottimo re, n’è tanto
Quel che tu ne consigli, che bisogno
D’altro non ha che di commune assenso.
Ognun vede, ognun sa quel che conviene
In sì dura fortuna; e nullo ardisce
555Pur d’aprir bocca. Libertate almeno
Di parlar ne si dia. Scemi una volta
Tanta sua tracotanza e tanto orgoglio
Chi co’ suoi male avventurosi auspíci,
Co’ sinistri suoi modi (io pur dirollo,
560Benchè d’armi e di morte mi minacci)
N’ha qui condotti, e per cui tanti duci,
Tanta gente è perita, e tutta in pianto
Questa cittade e questo regno è vòlto;
Mentre ne la sua furia, o ne la fuga
565Confidando piuttosto, il troian campo
Ha d’assalire osato, e fin nel Cielo
Posto ha con l’armi sue téma e scompiglio.
Solo un dono, signor, fra tanti doni
Che si mandano a’ Teucri, un sol n’aggiungi;


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