Pagina:Eneide (Caro).djvu/620

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[370-394] libro xii. 579

370Orando anzi a l’altar pallido il volto
Mostrossi, e chino il fronte, e grave il ciglio.
     Tale una languidezza rimirando,
E tal del volgo un susurrare udendo
Giuturna, sua sorella, infra le schiere
375Gittossi, e di Camerte il volto prese.
D’alto legnaggio, di valor paterno,
E di propria virtute era Camerte
Famoso infra la gente. E tal sembrando,
Già degli animi accorta, iva Giuturna
380Rumor diversi e tai voci spargendo:
Ahi! che vergogna, che follia, che fallo,
Rutuli, è ’l nostro, che per tanti e tali
Sola un’alma s’arrischi? Or siam noi forse
Di numero a’ nemici inferïori,
385O d’ardire o di forze? Ecco qui tutti
Accolti i Teucri e gli Arcadi e gli Etruschi
Che sono anco per fato a Turno infensi.
A due di noi contra un di loro a mischia
Che si venisse, di soverchio ancora
390Fòrano i nostri. Ei che per noi combatte,
Ne sarà fra gli Dei, cui s’è devoto,
In ciel riposto; e qui tra noi famoso
Viverà sempre. Ma di noi che fia,
Ch’or ce ne stiam sì neghittosi a bada?


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