Pagina:Eneide (Caro).djvu/621

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580 l’eneide. [395-419]

395La patria perderemo, e da stranieri
E da superbi in servitude addotti,
Preda e scherno d’altrui sempre saremo.
     Da questo dir la gioventù commossa
Via più s’accende, e ’l mormorio serpendo
400Più cresce per le squadre. Onde i Latini
E gli stessi Laurenti, che pur dianzi
Di pace eran sì vaghi e di quïete,
Pensier cangiando e voglie, or l’arme tutti
Gridano, tutti pregan che l’accordo
405Sia per non fatto; e tutti han de l’iniqua
Sorte di Turno ira, pietate e sdegno.
     In questa, ecco apparir ne l’aria un mostro
Per opra di Giuturna, onde turbati
E dal primo proposito distolti
410Fur da vantaggio de’ Latini i cuori.
Videsi per lo lito, e per lo cielo
Di roggio asperso, un di palustri augelli
Impaurito e strepitoso stuolo.
Dietro un’aquila avea, ch’a mano a mano
415Giuntolo de lo stagno in su la riva,
Un cigno ne ghermì ch’era di tutti
Il maggiore e ’l più bello. A cotal vista
Gli occhi e gli animi alzâr l’itale squadre;
E gli augei, che pur dianzi erano in fuga


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