Pagina:Eneide (Caro).djvu/63

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22 l’eneide. [508-532]

Leggiera è sciolta, il dorso affaticando
Del fugace destrier, l’Ebro varcava.
510Al collo avea da cacciatrice un arco
Abile e lesto, i crini a l’aura sparsi,
Nudo il ginocchio; e con bel nodo stretto
Tenea raccolto de la gonna il seno.
     Ella fu prima a dire: Avreste voi,
515Giovani, de le mie sorelle alcuna
Vista errar quinci, o ch’aggia l’arco al fianco,
O che gli omeri vesta d’una pelle
Di cervier maculato, o che gridando
D’un zannuto cignal segua la traccia?
520Così Venere disse: ed, a rincontro,
Di Venere il figliuol così rispose:
     Niuna ho de le tue veduta, o ’ntesa,
Vergine.... qual ti dico, e di che nome
Chiamar ti deggio? chè terreno aspetto
525Non è già ’l tuo, nè di mortale il suono:
Dea sei tu veramente, o suora a Febo,
O figlia a Giove, o de le ninfe alcuna:
E chiunque tu sii, propizia e pia
Vèr noi ti mostra, e i nostri affanni ascolta.
530Dinne sotto qual cielo, in qual contrada
Siamo or del mondo: chè raminghi andiamo
E qui dal vento e da fortuna spinti


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