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IV

All’abate cavaliere don Scipione Piattoli

Deus... me vetat
..... olim promissum carmen
ad umbilicum adducere.

Hor., Epod., xiv.


          Caro a Pallade, a Febo e ai miei pensieri,
onor degli avi tuoi, figlio dell’Arno,
che pretendi da me? Lasciami in pace.
Spinger non posso oltre il confin di morte,
5sopra l’ale dei versi, un nome illustre.
Cerca a Chelli altro vate. In mezzo ai rari
cigni, che in riva del Sebeto stanno,
scegli Belforte mio, nuovo Tibullo,
dalla pietá degl’invocati numi
10reso alle muse e agl’inquieti amici,
su la cui lieta incoronata fronte
la candida traluce anima bella.
Scegli il robusto immaginoso Tana,
nato ove umil la Dora in Po declina,
15che beve ai greci ed ai latini fonti.
Ei, se dipinse il garzoncel di Gnido,
che presso Dori, delle Grazie alunna,
ride sul furto del materno cinto;
o il dì fatale che all’incauto Ghisa
20tolse la vita ed il sognato regno,
muove, e alletta, e riscuote, urta e sorprende.
Dal canto lor la meritata lode
Chelli riscuota, e dell’itale scene
il toscano Parrasio oda chiamarsi.
25Me preme, figlia d’indigesta mensa
e dell’umido australe aere noioso,
invincibile inerzia. Invan ritento
di Saffo i modi: non risponde il tardo