Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/367

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sciolti 361

addormentato ingegno al suon dell’arpa.
Tu ben lo sai, che da due lune attendi
lirico dono di promessi carmi
sacri a colei, cui non si trova eguale
e di mente e di cor, sacri ad Enrico,
che, se d’edra circonda intonso il crine
Bacco rassembra; se di lauro, il biondo
nume di Cirra; e se di mirto, Amore.
Un dio mel vieta: quell’istesso dio,
che il genio invitto dell’oppressa Roma
spinse di Capua fra le mura: muto
si assise a fianco all’affrican guerriero;
gli additò il disperato ardir latino,
qual recisa di rami elece del Crago,
che forza acquista dal nemico ferro,
e, spargendol di pigra onda letéa,
dimenticar gli fece in vil riposo
le vittorie, la patria, il giuramento.
Né creder mai che per timore io taccia
della bilingue critica nascente:
benché infelice imitator di Filacco,
chieggo i consigli e la censura amica
di un severo Quintilio; le insolenti
risse detesto ed i maligni io sprezzo.
Né, come il Venosin, d’altra Glicera
seguo i capricci e sotto ferreo gioco
servo d’amor traggo oziosi i giorni.
Il perfido conosco e piú non ardo
al vivo minio di ridenti labbra,
di baci albergo, né al ceruleo fuoco
di due languidi sguardi, o all’agitato,
quasi spuma del mar, candido petto.