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Pagina:Fantoni, Giovanni – Poesie, 1913 – BEIC 1817699.djvu/435

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varie 429

     D’inutil grida io stanco il cielo, e tu
parti, il tuo legno per i salsi umori
sen fugge, vola... Io non ti veggo piú.
     325Empion la riva i tristi miei clamori,
verso quel bosco io vo, dove diffonde
la docil ombra gli amorosi orrori.
     Verso quel verde tronco, ove confonde
tiepida l’aura i sospir nostri ancora,
330ma l’eco, l’eco sola ai miei risponde.
     Con ripetute grida invano allora
io ti chiamo: cedendo ai miei dolori,
cado su di quel letto, ove dimora
     dolce faceasi in mezzo all’erbe e i fiori
335e inganno al dì, dove i miei baci amanti
eran prezzo de’ tuoi baci impostori;
     ove, ancor ricercandoti, tremanti
le mani io stendo, né abbracciar poss’io
piú ch’ombre vane a me d’intorno erranti.
     340È dunque vero che mi fugge, oh Dio!
Rinaldo!... Numi tenebrosi, omai
sortite dall’Averno al pianto mio.
     Quel palagio incendiate, il qual sacrai,
da lui costrutto, al dio d’amor. Volate,
345ed ovunque felice un giorno errai,
     il ferro e il fuoco distruttor portate:
piú nei giardini non rimanga ramo,
piú d’onda nelle fonti abbandonate.
     Tutto... me stessa, l’universo io bramo
350che annichiliate, ma, nel mio furore,
risparmiate Rinaldo... Ancora io l’amo;
     che viva!... Ei vive, ingrato! ed il suo core,
posta in barbaro oblio la sua fedele,
insensibile è forse al mio dolore.
     355Rinaldo, e crederò che d’infedele
voglia al barbaro nome e a quel d’ingrato
aggiunger l’alma tua quel dì crudele?
     E m’abbandonerai sola al mio fato
su questo monte, di tua fuga ardita
360ancora fra gli orrori spaventato?