Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/162

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154 fausto.

Fausto. Questo dicono tutti i cuori, in tutte le contrade, sotto il vital raggio del giorno; ciascuno in suo linguaggio; e perchè non io nel mio?

Margherita. A intenderla così, parrebbe in vero che tu non dicessi male; ma ci rimane pur sempre non so che di torto, perchè tu non sei buon cristiano.

Fausto. Viscere mie!

Margherita. E da un gran tempo anche mi accora il vederti tener pratica con quell’uomo...

Fausto. Che vuoi tu dire?

Margherita. Quell’uomo che hai sempre a lato, m’è odioso fino all’anima. Nessuna cosa a’ miei dì mi ha mai trafitta così a dentro nel cuore, come il sinistro aspetto di colui.

Fausto. Bambola mia, non averne paura.

Margherita. La sua presenza mi rimescola il sangue. Se ne togli costui, io non voglio male ad uom nato. Ma così com’io sospiro sempre di veder te, così io rabbrividisco tutta dinanzi a quell’uomo, talchè ho nell’animo ch’egli sia un furfante. Dio mi perdoni se gli fo torto.

Fausto. Voglionci anche di sì fatti nottoloni.

Margherita. Io non saprei farmi con un simil uomo. Ogni volta ch’egli si affaccia alla porta, egli guata subito dentro con non so che viso tra il beffardo e il corrucciato, e chiaro si vede che niuna cosa lo tocca nel mondo. Egli porta scritto nella fronte che non sa amare anima viva. Io son sì gaia al tuo braccio, sì confidente, provo una così soave ebbrezza nell’abbandonarmi a te; e nella sua presenza mi si chiude subito il cuore.

Fausto da sè. O angelo! come tu sei presaga!