Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/163

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parte prima. 155

Margherita. E tanto io son sopraffatta di ciò, che quand’egli si raggiugne con noi, mi pare persino ch’io non li ami più; e al suo cospetto io non potrei di niun modo fare orazione; e ciò mi consuma amaramente il cuore. Quel ch’io provo, tu pure il provi, di’, Enrico?

Fausto. Tu ci hai antipatia.

Margherita. È tempo ch’io vada.

Fausto. Deh, non potrò io mai riposarmi una breve ora con te; stringere il mio cuore al tuo cuore; mescere anima con anima?

Margherita. Ah, s’io dormissi pur sola! io ti vorrei lasciar aperto l’uscio stanotte. Ma, mia madre ha il sonno sì sottile; e s’ella ci avesse a cogliere, io cascherei morta sul fatto.

Fausto. Non vi è pericolo, mio bell’angelo. Togli quest’ampolletta; e sol tre gocciole che gliene mesca nella sua bevanda la sommergeranno in un placido e profondo sonno.

Margherita. Che non farei per l’amor tuo! Non le può far danno, non è vero?

Fausto. Cuor mio, vorrei io proportelo se potesse?

Margherita. Sol ch’io li guardi, mio caro, non so che mi persuade di consentire ad ogni tuo desiderio; e tanto io ho già fatto per te, che oramai mi rimane ben poco da fare. (Parte.)

MEFISTOFELE entra.

Mefistofele entra. La babbuina! se n’è ella ita?

Fausto. Tu hai fatto la spia, eh?