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parte prima. | 164 |
Fausto. Quel luccichío ch’io veggo colà è forse il tesoro di cui mi dicevi? e verrà su presto?
Mefistofele. Tu godrai tosto di porre le mani sol forziere. Vi ho guardato dentro non è guari con la coda dell’occhio, ed è pieno di bei talleri del leone.
Fausto. E non un vezzo? non un anello? nulla da ornarne l’amor mio?
Mefistofele. Sì, bene; io vi ho visto ancora non so che cosa a modo di un fil di perle.
Fausto. Ne son lieto; chè mi piange il cuore quando vado da lei con le mani vòte.
Mefistofele. Non vi dovrebbe increscere di godere qualche cosa a scrocco. Ora io voglio, sotto questo bellissimo stellato, farvi udire un miracolo dell’arte. Zitto ch’io le spippolo una canzone morale che la farà girare affatto. (Egli canta sulla chitarra.)
Bella Cate, viso adorno,
Or che spunta appena il giorno,
A che vai girando attorno
Alla porta del tuo amore?
Torna a casa, Cate bella;
Abbi l’occhio alla gonnella;
Tu lá dentro andrai zitella,
Non zitella verrai fuore.
State all’erta, o sempliciotte!
Oimė, quando v’han sedotte,
Buona notte, buona notte,
Ei vi dan delle canzone.
Bella Cate, abbi cervello,
Chiaso a’ piè tienti il guarnello;
Niun lo tocchi se l’anello
Pria nel dito non ti pone.