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introduzione xxiii

del ’48 e della letteratura della prima metà del XIXo secolo. La libertà non è più la trasfigurazione magica del destino dell’uomo, compiuta nell’entusiasmo di un istante. Reso maturo dalle esperienze di un secolo, il giovane poeta canta la libertà, quale sarà per l’umanità di domani: un’ascensione superiore ma dolorosa della storia, di cui l’uomo non diventa degno che dominando l’amore di se stesso; una vittoria eccelsa ma che costa cara, dell’angelo sul mostro, dell’essere sublime sul bruto.

Tale è la conclusione luminosa e velata di questo dramma che sembra non averne alcuna. Non è il dramma della delusione stanca e senza speranza, ma del dolore eroico. Ho detto che più ancora che un dramma, è un poema. Ma è più ancora: è un grido dell’umanità, il primo grido di dolore di un’immensa prova che comincia. La Rivoluzione francese non fu che il primo prologo, breve, confuso, romantico, della lotta dell’uomo per la libertà. Spaventata e affascinata, l’Europa si affrettò a chiudere il prologo troppo tempestoso venendo a una transazione con il vecchio regime La transazione fu ingegnosa; diede ai popoli che l’hanno conclusa mezzo secolo di felicità; ma era fragile e valeva solo per una frazione dell’umanità; la guerra mondiale l’ha distrutta. Non c’è ormai che un piccolo gruppo di popoli che possono dirsi liberi; ma anche questi trascinano la loro libertà come una catena di forzati e non se ne servono che per screditarla o maledirla. Saranno inghiottiti nel disordine universale di un’epoca, costretta a superare un passo arduo e pericoloso: uscire dall’epoca in cui l’uomo era sufficientemente difeso contro la tirannide dell’uomo, dalla sua debolezza, dalla sua timidezza, dall’attaccamento alle tradizioni, dalla