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perchè ogni presente non è che una di queste antitesi in azione. O deve giustificare tutto e allora non può essere storia contemporanea; anzi la storia contemporanea deve considerarsi come pseudo storia o poesia. Impigliato in questa contraddizione, da cui non riesce a districarsi, il pensiero del Croce si lascia sospingere dalla sua stessa confusione a conclusioni così paradossali e strane; da essere quasi ridicole. Questa, ad esempio: che «la storia non è mai storia della morte sibbene storia della vita»; che «sono da ritenere false... tutte le storie che narrano la morte e non la vita dei popoli, degli stati, delle istituzioni, dei costumi, e si contristano, e si angosciano e lamentano che quel che fu non è più» (pagine 79 e 80).

Questa pagina confonde manifestamente il narrare le rovine e il disperarsi per esse. Se un moderno scrivendo la storia dell’impero romano si stracciasse, arrivando ai bassi secoli, i capelli, e ululasse inferocito ai barbari e ai cristiani, noi potremmo dirgli di risparmiare il suo tempo e il suo dolore, poiché le sue furie sono vane o ad ogni modo son cosa sua, che non ci tocca, se pure non ci infastidisce. Ma non per questo è men vero che l’impero romano, fiorente nel primo e nel secondo secolo, è stato dal terzo al quinto secolo a poco a poco distrutto dal di fuori e dal di dentro; e che o lagrimando o ad occhi asciutti uno scrittore può narrare la storia di questa distruzione: come, quando, e per opera di chi si compiè. Dir che la rovina dell’impero romano è una storia falsa, per-