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dialogo sul primo ottocento 167


la novità dell’anno; ma chi mai riaprirà queste pagine tra cinquant’anni? O per caso tu credi che con qualche dialoghetto si conquisti l’immortalità?

Primo Scrittore. — Ma le Poesie...

Secondo Scrittore. — Qualche poesia, queste sono con te l’ha scritta, con molta finezza e chiarezza di parole. Ma quante brutte! Che pensi mai, tu, di quella, retorica filastrocca scritta per glorificare, in versi degni dell’opera, il monumento a Dante? O della Canzone all’Italia, in cui questo infelice, dimentico di tutti i freni che impone il buon gusto e il senso comune, ti scrive impavidamente «Soccomberó, sol’io»? Ti grazio tanti altri fiori, e per non apparire spietato e maligno, ti concedo che il conte Giacomo sia un poeta avvertito e anche abbastanza commovente; ma non me lo paragonare a Dante! Il signor Foscolo ha scritto un buon carme, ma non mi negherai che sia il più faticoso della letteratura italiana. Mi sembra, quando leggo un suo endecasillabo, di dar la scalata a una montagna. Di verso italiano non è sulla buona via, se continua a imprigionarsi liberamente in chi sa quali enormi e invisibili impacci, per poi divertirsi a risolverli con laboriose macchinazioni metriche, come un lottatore che gonfia tutti i suoi muscoli quando solleva un manubrio di carta pesta. Tutto questo mi convince che siamo al principio, e che ci sarà forse un giorno una letteratura, ma che per ora non se ne vede che l’aurora; il verso e la prosa devono maturare e divenire