Pagina:Finazzi - Sulle antiche miniere di Bergamo, 1860.djvu/26

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pieghino i loro capitali è l’ostacolo principale che si oppone a cotali industriose nazionali risorse». Nè altro può essere, se non forse più incalzante nelle attuali condizioni della Società, l’avviso dei meglio periti in così fatte industrie. E dove scorsa, sconnessa, imperfetta riesce l’opera dei privati, si fa necessaria l’opera per unione e armonia di forze più vigorose di ben regolate Società, che intraprendano di ritentare le fonti, che negli andati tempi furono sì feconde di ricchezze per le nostre Valli. I saggi e gli esperimenti, che si faranno per riconoscere quali dei vari tesori metallici già conosciuti sieno ora esausti o solo sottratti alle superficiali e non insistenti ricerche, chiariranno dell’importanza e convenienza di tentare lo scavo di nuove e preziose miniere, o forse di attenersi alle vecchie, ma con più larghi e approvati metodi di escavazione e di riduzione nei relativi opificii. Nelle nuove ricerche non dovrebbero essere dimenticate le miniere del rame, delle quali Plinio menò sì gran vanto, e delle quali ne dovrebbe certo essere alcuna anche nelle nostre Valli. E comunque; quale che ne sia stata la cagione, ne’ tempi moderni ne fossero quasi perdute le traccie, sarà però da tener conto, come è memoria dei vecchi della Valle, che alla destra del Tino e della via che da Vilminore conduce a Vilmaggiore fosse nel 1776 eretto un forno, dove si fondeva la miniera di rame che si cavava nello vicina Valle di Ronco; e pare a quanto ne fu detto dai pratici1 che l’opera non attecchisse per la sola imperizia di chi mal seppe intraprenderla. Checchè poi fosse il forno, da più anni dimesso, in una straordinaria piena del Tino il 18 novembre del 1791 fu sfasciato e distrutto; onde anche ci rimase dallo scavare più avanti la miniera, che fu chiusa e abbandonata. Dello scavo del mercurio, che sembra stato tentato nella Valle di Scalve al luogo detto del


  1. Dott. Grassi. Mem. ms.