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Visti indarno oggimai gl’impeti suoi,
Ecco qual fe’ disegno empio, nefando,
Se ridir tel poss’io, se udir tu il puoi.
In cotal guisa il monaco narrando
80E tra per gli anni e pel crudel pensiero
Tacendosi affannato a quando a quando,
Giunsero al limitar del monistero,
E quivi, lungo le sacrate mura,
Sovra marmoreo scanno ambi siedero,
85Sorgea l’astro che molce ogni sventura
E specchiavasi allor tutto nel fonte
Della luce che informa la natura.
Fra gli ardui pini onde il ciglion del monte
Sta foscamente incoronato e cinto
90Già trasparia la luminosa fronte.
Dell’alta solitudin, dell’estinto
Giorno i silenzi interrompea d’un fiume
Il cader lontanissimo, indistinto.
Vorace augello, con le negre piume
95Ferme al petroso nido, attraversava
L’aere non tocco dal crescente lume,
Rada nebbia dall’imo si levava,
Che, giunta ove percossa era dal raggio,
Biancheggiando per ciel si dileguava.
100Al suol s’affise l’eremita; e il saggio
Gli occhi levò pensosamente mesti
Del bel pianeta al tacito viaggio.
Poi l’altro proseguì: Sappi che questi
(lo cui nome esecrabile fu Gerra),
105O sia mercè di simulate vesti,
O d’incognito calle di sotterra,
O di vil traditor che a lui sovvenne,
Furtivamente penetrò mia terra.
Audace intorno al fido albergo ei venne
110E, non visto, a cangiar guardi e parole
Con l’innocente figlia mia pervenne.
Furon le chete mura e l’ombre sole
Testimoni dell’arti onde colui,
Qual da malvagio ingannator si suole,