Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/115

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— E1 non ti lece, o tu che per oggetto
derresti aver giusticcia ed onorarla,
tener del frate tuo la moglie in letto !
I’ ti protesto che non dé’ toccarla
e, se ben tosto d’un si rio diffetto
non ti sciorrai, giá ’l mar, la terra parla
e grida contra te vendetta al cielo,
che vogliati levar da sé col telo. —
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Cosi poi ch’ebbe detto, ad Enno riede
né lui di poca tèma colmo il lascia;
non ch’esso tema Dio, ché ’n Dio non crede,
né mai ben visse da la prima fascia;
sol che Cesar il ponga giú di sede
per l’essecrabil merto, ha grave ambascia;
e scrive a Gianbattista or lusingando
ch’oltra di ciò non parli, or minacciando.
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Il santo a lui riscrive che non debbia
odiar chi l’util suo gli mette inanti,
perche non v’ha si folta e scura nebbia
eh’ un tal delitto al Re del cielo ammanti,
e che, qualor dissopre a lui s’annebbia,
sempre tèma che ’l folgor non lo schianti,
ché pur devria nel core aver l’essempio
del pravo antecessore ingiusto ed empio.
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Era giá ’l freddo borea divenuto
al fin di sua stagion di fronde priva;
veste la terra un manto che tessuto
di ghiaccio e neve a pena tienla viva.
Ma puoco spazio andrá che sia soluto
dal gelo il monte, il piano ed ogni riva,
ed al tornar di zefiro e suoi fiori
rinvestirassi a mille bei colori.