Vai al contenuto

Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/117

Da Wikisource.

40
Sotto l’arcate ciglia duoi ch’umani
non vo’ dir occhi no, ma de’ piú eletti
celesti rai, s’avea con proprie mani
formati ad esser lume d’intelletti,
ch’ovunque si volgean, i duri e insani
ed arroganti cuori eran costretti
depor durezza, insania ed arroganza,
per darsi a lui ch’ogni modestia avanza.
45
Ché se quell’alma bella sommamente
fu di qual esser può virtude intègra,
se cosi onesta, se cosi prudente
né d’un sol picciol nèvo tinta e negra,
volse ragion che ’l Padre suo potente
le diesse un corpo tal che men allegra
fosse allegrezza e men bella beltade
a quella allegra e bella maiestade.
42
Disacerbossi allora il duro aspetto
con Putii minacciar del precorsore,
quando vi apparse il principale oggetto
de l’amorosa fede e fido amore;
come fa ’l ciel quando da’ venti astretto
s’offosca intorno, muggia e dá terrore,
poi di ponente uscita un’aura dolce
tutto s’abbella ed Orion si molce.
43
Distende il dito verso il poggio donde
Iesú discende al fin del basso rio;
e, vólto il viso a quelle turbe immonde,
parlò suave: — Ecco l’Agnel di Dio!
l’Agnel celeste a voi non si nasconde,
che toglie ogni peccato al mondo rio:
quest’ è l’alto Figliuolo, il qual né buono
fui di scalzarlo mai né fia né sono !