Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/135

Da Wikisource.

112
Si che, dapoi che del maestro il luoco
non senza divin cenno m’assignate,
datemi le Scritture, dove roco
è di chiamare ogn’ infiammato vate
di quell’eterno ed amoroso fuoco
che sparger deve in questa ultim’etate
l’aspettato Re vostro, donde pende
quanto lá sii, qua giú, si mira e ’ntende! —
113
Cosi parlando, il chiesto libro toglie
ch’un di quei sacerdoti gli ’l porgea,
sfibbialo istesso, e quel che ’n gli occhi accoglie
nel primo aprir, perch’odano, leggea,
ove simil parole, non giá in foglie
mandate da cumana od eritrea,
per lo divino spirto alzar solia
l’ardente amor, con voce d’Esaia:
114
«Lo spirto del Signor mi sta dissopra
ch’elessemi per Figlio, per re m’unse:
da lui discesi acciò da me si scopra
l’alta cagion che l’universo aggiunse.
Vo predicando il ben, ma non senz’opra
di fé, d’amor, di ciò che mi trapunse
il cor d’un si suave ardente strale,
ch’amo ’l nemico e rendo bene per male».
115
Questo suggetto in stil d’altre parole,
oscure a chi non ama, Cristo lesse:
poi serrò il libro, come chi sol vuole
le occulte cose aprir, chiuder l’espresse:
— Oggi — disse — fra questa nostra prole
compito è quanto il Padre mio promesse ! —
Dapoi su ciò, con dire accorto e intiero,
riconoscer lor fece il gran mistiero.
T. Folengo, Opere italiane -11.
9