Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/146

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Poi ch’io v’elessi al mondo ed a la terra
che siate a quello il sole, a questa il sale,
l’onor, che a tal impresa in voi si serra,
o ch’ogni ben cagiona o ch’ogni male
(ché, come d’ogni male il dottor ch’erra,
tal d’ogni ben dá norma chi è leale),
non possion l’opre vostre se non cónte
parer ’n terra qual cita sul monte.
21
Arda pur sempre il lume al candeliero
che se ne serva tutta la famiglia;
spargetelo non finto, ma sincero,
e qual non abbarbaglie l’altrui ciglia;
o sia ’l dir vostro dolce o sia severo,
si come il tempo e ’l luoco vi consiglia,
dite quant’erra il mondo, e dite aperto
ch’io via di vita sono al premio certo!
22
Non che venuto sia qua giú dal cielo
la legge per slegar ch’io diedi a Mòse
né raderne un quantunque picciol pelo;
anzi adempierla voglio; e quelle cose,
c’ hanno adombrate i farisei col velo
di loro impure ed inoneste giose,
ridurle m’apparecchio, e ciò ch’io dissi
dir meglio, e meglio scriver ciò ch’io scrissi;
23
ma non in fragil pietra, eh ’ad un vano
e stolto popol Mòse dar piú 1’aggia
o fiaccarle qualora il volgo insano
mezzo al deserto in idolatria caggia.
Impresse dunque fian nel core umano;
e Fede, di lor mastra e guida saggia,
meglio di Mòse intiere serberalle
ed al timor rivolgerá le spalle.
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