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I
LA UMANITÀ DEL FIGLIUOLO DI DIO
108
Interrogollo dunque de le strate
donde non lice rivocar piú ’l passo,
poi de le porte non giamai serrate
c’hanno intagliato un metro tal nel sasso:
<c Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate»,
e del nocchier barbuto, che mai lasso
non è di navigar per Tonde nigre,
battendo il remo in capo a Tombre pigre;
109
oltre di ciò de l’ampia orribil orna
di Radamanto che gli spirti annoda,
e del mastin che su l’entrar soggiorna,
ch’apre tre gole e move una sol coda.
— Com’esser denno, aimè — dicea — le corna
d’Alchin, Satán, Falsetta e Malacoda?
e quei che giran sempre or alti or bassi,
spingendo e rispingendo i gravi sassi?
110
Che dicer possi de l’ardente torre
sul primo entrar de la cita di Pluto?
Di qua, di lá degli demòn concorre
ivi sempre lo stol dal ciel piovuto,
né molto di legger si vien asporre
le tre sirocchie c’ hanno il crin tessuto
d’implicati scurzon, ceraste e bisce,
donde convien che tutto ’l capo fisce.
111
Mi meraviglio come in duro smalto
non ti cangiò di Forco la figliola:
so che di quella torre suso d’alto
entrar ti vide di Pluton la scola:
o come non ti fe’ l’usato assalto
e t’ingoiò ne la vorace gola
quel disonor di Creta orribil mostro,
c’ha di toro le groppe e ’1 volto nostro?