Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/21

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E Sem, ch’ancor nel volto arroscia, viene
piú che lapetto lungo al padre e crebro,
cui ricopri le nude parti oscene,
sendo di sonno e vin pieno il cerèbro
mercé la vite sua ch’empi le vene
a lui di mosto si che ne giacque ebro,
schernito da quel Cam ch’or con Nembrotto
stassi del re de l’ombre a’ piè dissotto.
25
Succede il fedel santo e pio vecchione
con gli occhi sempre al ciel, barbuto e bianco,
ch’adorò un Dio vedendo tre persone
né si fidò de le promesse unquanco:
poi l’unico figliuol, per guiderdone
che Dio gli ’l die’ cent’anni avendo, a fianco
volse immolar giá posto il ferro al collo;
ma, pago Dio di tanta fé, vietollo.
26
Non perde Isacco il tempo ir fra lo stolo
con Sara, Agar, Rebecca ed Ismaelle;
poi viengli appresso il semplice figliolo
che l’ingannò, volgendosi la pelle
al collo e a’ man del chiesto capriolo,
per fingersi colui che, versipelle
quantunque fosse e scaltro, allora ed anzi
perdeo del primogenito gli avanzi.
27
Séguita lunga e mescolata schiera
d’uomini e donne giustamente visse;
ma sopra gli altri avvampa la lumiera
di castitá Ioseppe, il qual s’affisse
d’esser via piú creduto quel non era,
ch’offender Dio cedendo a chi gli disse:
— Dormi con meco ! — e in man lasciarli il manto,*
e ’n career gir, che perdere un don tanto.