Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/254

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Sin qui trionfato hanno quei tiranni
de l’ infelici, e fattone gran prede:
or venni per scatarli, giunti gli anni
che debbe sottoporsi legge a fede.
Voi pur vedete s’io riparo ai danni,
cui del ciec’occhio, cui del torto piede;
ma sopra tutto agli demòn infesto
son d’ora in ora ed a scacciarli presto.
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Pace dunque fra noi com’esser puote,
diversi essendo di natura e stato?
Però le voglie mie vi sian qui note:
chi non è meco è dal contrario lato;
siamo duoi capitani, e a noi divote
son varie genti e un popolo fidato,
né d’altro cale al gran nemico in fuore
di farmi un mio vasallo traditore.
86
Di che piú tosto voi temer dovete,
non v’abbia Belzebú sotto sua insegna;
ché, se cotanto in l’opre mie frendete,
né sia di voi pur uno il qual sostegna
d’udir ch’io sani Palme sozze e viete
over ch’a morbi corporai sovegna,
indiccio manifesto al mondo date
che col tirán contrario a me voi siate.
87
Quanto fia Putii vostro, e mio piacere,
passar di quelle a queste invitte squadre!
Ché se, dapoi gli avisi e le preghere,
dure minacce lanciavi mio Padre,
derreste pur sua forte man temere,
derreste pur campar fuor di quell’adre,
fuor di quelle dal ciel bandite genti,
che vosco in fiamma sempre fian dolenti.