Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/265

Da Wikisource.

24
Agnel non parve allor, ma un gran leone,
al qual fiera non va che non paventi:
quel mansueto a lor tutto si spone,
qual umil lepre al cane che l’addenti ;
ma fiero alén non ha si forte ungione,
non pel si rabuffato e lunghi denti,
come quel dolce aspetto ardente e piano
parve a coloro atroce ed inumano.
25
Non valse, a l’apparir di tante spate,
non si scoprir Divinitá nel volto,
per punir l’uom di sua temeritate,
eh’ è tanto disleal, eh’ è tanto stolto:
se conoscer non vuol la maiestate
del sommo Verbo in quelli membri avolto,
conosca almen ch’un’ incolpevol vita
non può da legge o altronde esser punita.
26
Ma quei si come statue immoti stanno:
si dentro ’i rode un paventoso tarlo!
Vedendo allor Iesú che lunge vanno
da quel pensier di piú voler pigliarlo,
né fra lor esser chi osi fargli danno,
ma levan gli occhi sol per sol mirarlo,
umanamente loro interrogando
disse: — Ch’andate voi per qua cercando?
27
— Noi — risposer a ’n grido tutti quanti —
Iesú cercando andiam, quel nazareno. —
Tacque l’Umanitade, acciò ch’inanti
a lei Divinitá ragioni appieno;
la qual non solo a quei dignò, ma a quanti
di natura giamai capper nel seno,
far la risposta su da l’alto trono
e con terribil voce dire: — Io sono.