Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/269

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Pensa ciò che dé’ far, né vi ha partito,
ché quinci amor, quindi paura il caccia:
quel di seguire il suo Signor fa invito,
questa di rimaner, finché la faccia,
ch’un rio dagli occhi manda in su quel lito,
col cor insieme per dolor si sfaccia,
e mentre or dubbia or fermasi ’l pensiero,
vi sopra vien l’addolorato Piero.
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Tien un coltello in mano ed un nel core,
ché ’l Mastro tolto gli è, tolt’è la vita:
vita non ha piú in petto né d’amore
può misurarsi quanta è la ferita.
Giován gli disse: — Pietro, ov’è ’l Signore?
Lasso! chi ne l’ha tolto? e chi l’aita?
non hai veduto quante e quai persone
legato il tranno in guisa di ladrone?
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Non giá son queste l’ impromesse, o Pietro,
fatte da noi di gir con seco a morte !
Ecco che non di selce, ma di vetro,
noi siamo al tempo di contraria sorte:
esso va inanzi e noi torniamo a dietro,
cosa d’uomo non giá costante e forte.
Oh vii guerrier, che ’n pace al fianco siede
del capitano, e ’n guerra fugge e cede! —
43
Risponde Pietro: — S’esso vuol morire
e noma chi ’l contrasta «Satanaso»,
che poss’ io far? chi può contravenire?
Né tu né io né Giacom né Tomaso!
Io cominciai, ei mi vietò ferire:
so ben piú d’una orecchia e piú d’un naso
avrei giú di que’ volti e tempie tratto;
non volse, e quanto sfeci ebbe rifatto.