Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/281

Da Wikisource.

88
Al qual risponde il piú degli altri astuto:
— Signore, inver troviamo ch’ei soverte
la gente nostra e nega che ’l tributo
a Cesare si dia; poi con scoperte
bugie va divolgando esser venuto
quel giá predetto Cristo, il qual ne accerte,
come figliuol di Dio, come Re nostro,
dover toglier da noi lo giogo vostro. —
89
Pilato, eh’ è romano e a lunga prova
nel governo avezzossi a creder poco,
credette nulla, perché cosa nuova
non gli è di quei ribaldi l’esca, il fuoco;
e pur con loro simular gli giova,
ché fuor si turba e dentro ne fa gioco.
Volgesi al Re del cielo e dice: — Sei
re tu, come va ’l grido, degli ebrei? —
90
Il Re risponde: — Tu per te lo dici! —
Pilato a lui: — Non odi tu la voce
in danno tuo di questi tuoi nemici? —
Tacque Iesu per non vietar la croce,
ché, quando contrastar quegli infelici
voluto avesse, quel roman feroce
lor svergognati avrebbe, lui francato
e come savio e nobile osservato.
91
Ma Giuda, in questo mezzo, erede fatto
di quante chiome squarcian le tre sori,
va quinci acceso, quindi mentecatto,
spegnendo l’erbe ovunque passa e i fiori.
Porta l’argento in man del crudel patto;
ma l’odia il tristo re de’ traditori :
anzi sen viene a Caifa e grida: — Guai
a me, che disperando in Dio peccai !