Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/38

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Ben mi rammenta poi ch’a mille a mille
narrò di questo re l’opre soprane,
discese a ragionar d’altro che Achille,
d’altro che Enea, nostre fatiche insane;
ché, se con lingue quante in mar son stille
e stelle in ciel parlammo, tutte vane
fóran in puoter dire l’alte imprese
d’un Pavol, ch’or nove anni ha manco un mese.
93
Costui la Grecia tua, l’Italia mia
trarrá, con dir celeste, d’ombra a luce.
Oh c’ne sonora tromba, oh che armonia,
oh vaso eletto, oh infaticabil duce !
Parmi vederlo giá che qual si sia
spirto rubello a cor pentito induce,
scuotendo i petti or questo or quello d’ogni
nebbia di mente, d’ombre false e insogni.
94
Esso con Pietro, Andrea, Filippo, Toma
ed altri cavallier del Re celeste,
tolta di croce l’onorata soma
e da si lungo oblio giá Palme deste,
del mondo i rai, Cartago, Atene e Roma
di mani adornerá, di piè, di teste;
ché, ove di pietra i dèi son oggi alzati,
gli ossi de’ santi eroi fien onorati.
95
A questi altieri e forti capitani
hanno a succeder P infinite squadre
di quanti al mondo riputati insani
saggi saranno in gli occhi al sommo Padre.
Fame, sete, calor, gel, tori e cani,
ceppi, catene, fuoghi e prigion adre
non sprezzaranno men che sprezzar gli orsi
soglion di pulci e mosche i lievi morsi.