Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/66

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Ma qui mi si dirá eh’ Ottaviano
pose lo scettro allora, e fe’ pur segno
quel convenir a piú possente mano
di tal che ’1 mondo averlo non fu degno.
Ma noi sospinse a questo il senso umano,
ch’un spirto (non so qual) gli disse: — Ahi, pregno
di vermini vasello, ecco la Parca
ti rompe a mezzo, e Caron giá t’imbarca!
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Non t’ingannar perché tu solo il vizio,
solo tieni l’error di legge a freno,
tu solo il tribunal, solo ’l giudizio,
e leghi e sleghi, d’alterezza pieno!
Chi sollevotti, ancora in precipizio
ti manderá, perch’ogni carne è fieno:
giá la secure a l’arbore s’accosta,
piú di tagliar, piú ch’alto vai, disposta.
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Questo manto reai, questa corona
depon, ché tua non è ma di fortuna;
fortuna i ben fugaci usurpa e dona
e toglie a suo piacer, or chiara or bruna
depon la verga; ché chi d’alto tona,
chi gli agni quinci e gli edi quindi aduna,
sol è qua sotto re, sol re lá sopra
e rende il guiderdon secondo l’opra.
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Dimmi di tua domestica ventura
e chi ti bea se pensi a tante ambasce?
non desti a’ figli acerba sepoltura,
piú degna a le figliole? quelle in fasce
spegner dovei, se mai fu studio e cura
in uom di ciò che con onor si lasce:
donde se fortunato alcun ti dice,
anch’io dirò ch’un misero è felice! —