Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/109

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e che talor prendevasi a molestia
d’un tanto Padre le amorose cure,
105cesse allo sdegno infin sua gran modestia.
Ecco s’or paga il fio, se le sozzure,
quant’esser puon, trovato s’hanno il nido,
che qual fu giá non è chi rafiigure!
Or stiamo intenti al fine; ch’io mi rido
ito di ciò debbe avvenire a questa lupa,
per cui giá il canto si commuta in grido.
Udite qual rumor gli accenti occupa! —
Cosi parlando, un impeto percuote
non so che muro e tutto lo dirupa.
115D’indi gran turba erompe, ch’alle gote
non so che visi e facce contrafatte
s’ha poste, acciò le vere siano ignote.
Volti di gufi, babbioni e gatte
scossero alquanto ai sonnolenti il sonno,
120che quegli piú degli altri assai combatte.
Un, ch’era duce della squadra e donno,
cavalca un asinel si tardo e lento,
che trarlo dietro a gran fatica ponno.
La putta vecchia intanto parse un vento
125a prender fuga, conscia del suo male,
al subito apparir di quel convento.
Io vidi al tempo giá di carnevale
giovani mascherati e travestiti
correr chi qua chi lá, se avesser l’ale:
130non men costor, mentr’ella par s’aiti
levar il campo e, come volpe accorta,
cercar, dove s’appiatti, ascosi liti,
furon a un tratto ai buchi, dove porta
farsi potea la versipelle fiera,
135e cosi stette in mille intrighi assorta.
Di beffe e di rimbrotti una gran schiera
la cinse al primo assalto, e chi «fantasma»,
chi la chiamò «giraffa», e chi «chimera».