Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/113

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chi il tener umbilico ti secasse,
65recasse l’acqua, il sale o almen un straccio,
ov’entro l’abortivo avviluppasse?
Ver è, non vi mancò chi, poco spazio
al parto dopo, ti gittasse nuda
su nuda terra, d’un tal mostro sazio.
70Ed io per lá passando, ahi troppo cruda
parvemi cosa te giacer nel sangue
tuo proprio e non trovarvi chi lo chiuda!
Miro quel corpicei che in terra langue,
calcato da chi passa; lo mi accoglio,
75lo mi ravvivo, ch’era in tutto esangue;
poi nel mio fonte, ove gioir mi soglio,
le macchie del suo sangue lavo e tergo,
di vino il riconforto ed ungo d’oglio;
poi l’introduco al mio piú caro albergo,
80ove cresciuta io t’amo aM’altre sopra,
e di delizie in alto mar t’immergo.
Veste non è d’ogni finezza ed opra,
vistosa si di bisso o di giacinto,
di fini altri color, che non ti copra.
85Taccio le armille al braccio, al collo il cinto
cerchietto d’oro ed alle orecchie i fili,
c’han quinci un pregio, quindi l’altro avvinto.
Taccio gli specchi scriminali e stili,
odorate conserve, acque, profumi,
90giovin servigi e riverenze anili.
Taccio le cortesie, valori e lumi
perspicaci d’ingegno e l’accortezze,
pronte risposte, acconci e bei costumi.
Taccio gli eletti cibi e le carezze
95di suoni, canti, danze e onesti giuochi,
stanze regali e tutte Ior grandezze.
Quante province, regni ed altri luochi
sublimi, a ciò che a quei sormonti in cima,
consunti hanno per me gli edaci fuochi!