Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/117

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Ah scelerata donna, che non puoi
peggio esser detta (ché le tigri, ingorde
di sangue, amaron sempre i figli suoi :
e tu, cui coscienza nulla morde,
35la prole d’ambo i sessi e di me sunta
immolar soffri a imagini si lorde),
or vedi a quanta estremitá sei giunta,
putta schernita, e in che ponesti fede!
vedi se stai di precipizio in punta!
40Non ti bastò violate aver le tede
e toro maritai, e in mio disprezzo
del tesor mio far ogni mèco erede ;
non ti bastò che, avendo me da sezzo,
drizzasti altari al volgo che ti stupra,
45e tu gli dai, non piu ricevi, il prezzo:
senza tal atto far, ch’ogni altro supra
di crudeltá, d’infamia e di furore,
né tanto danno mai pili si ricupra.
Come non ti s’aperse il petto, il cuore
50(che petto e cuor! ma smalto, roccia, scoglio!),
allor che fosti d’atto si empio autore?
Come potesti senza gran cordoglio
aprir la gola, trarne sangue e imporre
al fuoco il parto tuo, che amar si soglio?
55Per farne che? sacrarlo a quel che abborre
il zelo mio via piú d’ogni altra offesa
(né pena trovo a tanta colpa sciórre!),
dico l’idolatria, che con gran spesa
ed interesse hai fatta di mia dote,
60da te calcata, non che vilipesa!
Poi, Parche avendo giá dell’oro vote,
le porte tue, che parser un esame,
al gir ed al tornare niun percuote.
Però, fatta carogna e ornai letame,
65per ogni piazza e in publico drizzasti
un lupanar per non perir di fame.