Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/137

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CANTO XXX

L’umanitá di Cristo si turba all’aspetto della croce.
Li pastori si partono. Teofilo resta.
Tosto che l’orator, de’ piú pregiati
mandar potesse il trino ed un consiglio,
die’ fine a’ suoi bei detti figurati,
quel magno al Padre coeterno Figlio,
5quell’uom sul fieno abbietto, anzi quel vermo,
snodò dal sonno il senso e aprigli il ciglio.
Gira i duo specchi pria; poi, come infermo
di nostra carne, in letto si conturba,
vólto alla croce, ove tien l’occhio fermo,
io Cinto si ve’ da quell’armata turba:
Egli è sol, nudo, e i piè e le man legato,
di che l’uman obietto assai lo sturba.
Mentr’è fra si crud’arme disarmato,
le quali or queste or quelle mira intento,
15e per provarle sa che in carne è nato,
l’uman incarco, in segno di spavento
afflitto, affligge i sensi, e le leggiadre
sue membra fan quel che le foglie al vento.
Giá non fu pietra (or che facea la Madre!),
20che non intenerisse ai duri e intensi
sospir del Figlio, obediente al Padre.
Quel ch’io con gli altri allor sentia, ripensi
chi ha tener cuore e non l’acciaio in petto,
che dirlo per me stesso non conviensi.
25Oh vile assai, ma venturoso tetto,
che, qual si fu, ne’ di del piú gran gelo,
a Chi non cape al mondo die’ ricetto,
a Chi nel pugno ha il mar, la terra, il cielo,
al solo Autor d’universal salute,
3C a Dio, cui piacque entrar di carne il velo!