Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/138

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Felice grotta, u’ nacque fra le acute
mondane spine il Fior tant’anni atteso,
di ventre intier, com’ha la Dio virtute!
Stato gran pezza il nostro uman offeso,
35ecco il divin rasserenollo a un tratto
e l’ebbe amabilmente in sé ripreso.
Come se pietra od altro grave, tratto
in ruscel vivo, si gli annebbia il fondo,
e, puoco stando, al vetro torna ratto,
40i fior, qual bianco, giallo e rubicondo,
c’hanno il vigor da lui, gli applaudon lieti,,
che impallidirò al si vederlo immondo;
cosi l’aria del viso e gli occhi cheti
beltá ci rese, e gli angeli e gli umani,
45e ne fèr festa i bruti e le pareti.
Poscia Michele e gli altri veterani,
fatti al Signor gli usati loro inchini,
levano l’arme e volano lontani.
Andati quei, non meno i pellegrini
50pastori, e nudi del gentil Maestro,
dicon voler tornarsi a’ lor confini.
Io seco in parte alquanto mi sequestro:
ivi, parlando basso quant’io posso,
dar qualche buon aviso a lor m’addestro.
55E dissi : — Poiché a tant’onor promosso,
mercé ’l buon padre vostro, qui mi trovo,
qui vo’ domar i piè. le mani, il dosso.
I piè, le mani, il dosso al dolce giovo
qui vo’ domar di questo Agnel di Dio,
60né quinci mai, piacendo a lui, mi smovo.
S’ogni mio onor, mio studio, mio desio*
tutto che debil sono a tanto incarco,
a questa pietra catenar desio,
cosi la mano, il piè non mai ha parco
65risponder all’amor di quant’ Ei vuole
e gir di quanto impon col dorso carco.